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Sindacato: brucia la casa di carta

Giù le mani dalla libera stampa; l’autonomia non si svende; basta con le invasioni di campo, le querele temerarie, il bavaglio e le fake news. Insomma tornano gli slogan, la categoria è in subbuglio, la mobilitazione è strisciante e il mestiere rialza la testa pronto anche a raddrizzare la schiena. Sembra il risultato, invero inaspettato, della catena di assalti, economici e di merito, a una categoria, quella dei giornalisti, specie della carta stampata, che è passata negli anni attraverso infinite crisi editoriali e di contenuti e di sistema che ne hanno impoverito la funzione, il fascino mediatico, la rispettabilità professionale.

E’ la storia della Federazione della stampa, degli uomini che l’hanno gestita, della serie successiva dei contratti e delle tutele conquistate nel secolo scorso soprattutto per merito della suddetta carta stampata e delle sue voci scritte e archiviate nelle emeroteche di tutta Italia oltre che per la tenacia legata a molte nobili firme e alle battaglie di cronaca e di verità per non dire d’inchiesta che ha caratterizzato il lungo successo dei giornali prima di passare la palla ad altri criteri e sistemi d’informazione, dalla tv ai social, ivi compreso il progressivo e forse naturale smantellamento di regole contrattuali e piccoli privilegi legati ad un lavoro, il giornalismo appunto, che, ai tempi si nutriva e sosteneva su di una rendita di prestigio e considerazione e popolarità non banali.

Era la sentinella del potere, si narra. Il guardiano dell’etica politica. Il vigilante indefesso allenato ad una visione larga degli avvenimenti e di quello che ci sta sotto. Non che questo sia del tutto perduto. Per carità. In buona parte è solo sparito da quel sistema cartaceo così inviso all’editoria nazionale più sensibile a investire sui grandi numeri, corredati da grandi risparmi, sottesi alle tv commerciali e ai cosiddetti social. Tuttavia il segnale è più che preoccupante, è la fine di un regno e parallelamente di una serie di strutture sindacali che nel tempo hanno tenuto in piedi quel sistema e la categoria dei giornalisti che, conscia delle sue fragilità strutturali, aveva e ha ancora un ombrello di salvaguardia deontologica e persino economica, ombrello via via più logoro e pieno di buchi, inadeguato a sostenere attacchi frontali come quelli in atto oggi da parte di padroni e politici insofferenti al contraltare di una stampa effettivamente libera.

Si diceva che un buon giornalista si misurava anche col numero di querele ricevute.

Una sorta di medagliere anche questo preso di mira dalla politica e in parte dalla magistratura proprio mentre il sindacato, sino a ieri un unico pacchetto di professionisti uniti sul piano etico e normativo, man mano perdeva le sue ideali funzioni sacrificandole sull’altare del compromesso, di alcune scelte e occasioni professionali, sulla difesa a oltranza di modesti privilegi economici pagati prima dagli organismi di autogestione e tutela (Inpgi, Fnsi, Ordine nazionale) poi dallo Stato e oggi da una combinazione Stato-aziende che non sembra garantire nessun rispetto per il sistema costruito dal dopoguerra sino alla fine del secolo scorso.

Si dirà che quello era un sindacato compassionevole. Interveniva nel contenzioso e nella disciplina. Ha visto passare ai suoi vertici sciame di cultori del compromesso e della soluzione contabile: colleghi e personaggi che hanno resistito allo scorrere degli anni e si sono accomodati su una serie di strapuntini di poco o punto valore giornalistico, che hanno gestito le singole vicende non in virtù del dettato o meglio della missione giornalistica ma soltanto per un’idea conservatrice di un sistema chiaramente destinato a una drastica e feroce cura dimagrante di cui oggi si contano le irrecuperabili perdite.

Che fare, quale direzione prendere forse anche per non cadere tra le braccia di qualche algoritmo pronto ad accogliere tra le sue rapaci braccia tutto un complesso di informazioni che hanno fatto buona parte della storia di questo paese? Il sindacato può battere un colpo è sceso in piazza per difendere l’Agi, la seconda agenzia di stampa italiana, smantellata e prosciugata in vista della vendita certamente impropria ad un uomo politico piuttosto avvezzo a mettere le mani sull’informazione. Non sembra un salvataggio ma, come recitavano i manifestanti, una “svendita” di favore e a favore della propria parte politica. Altro che voci libere e autonomia.

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