Uno sciopero che si trasforma in uno spettacolo teatrale per sostenere la lotta delle fabbriche tessili del New Yersey. Sul palco salgono oltre mille tra operaie e operai. In platea la città di New York. Siamo a giugno, più di cento anni fa, nel 1913. Il teatro non è una sala di periferia, è il Madison Square Garden. Solo a guardare il manifesto locandina di quel giorno si resta senza parole. Sullo sfondo di un cielo rosso fuoco un operaio scavalca il profilo delle ciminiere e viene avanti verso di noi. Sotto di lui la scritta che dice “Lo spettacolo dello sciopero di Paterson interpretato dagli stessi lavoratori”. E poi luogo e prezzo per assistere e per sostenere la vertenza. Fu un lampo, forse l’ultimo del sindacato rivoluzionario I.W.W. Industrial Workers of the World che mise in scena solidarietà, creatività, voglia di resistere al capitalismo selvaggio che imponeva di raddoppiare telai e turni di lavoro per tessitrici e setaioli, in gran parte emigrati, irlandesi ma italiani soprattutto. Fu una battaglia durissima che durò mesi, con le famiglie ridotte alla fame. Dello spettacolo al Madison ci resta oltre al manifesto, una foto di scena e un libretto con gli atti da recitare. I giornali di New York, che non erano teneri con i sindacati, dovettero riconoscere che una cosa così non si era mai vista in città.
A questo azzardo visionario partecipò un italiano diventato in quegli anni un leader carismatico delle lotte operaie americane. Il suo nome é Carlo Tresca, giornalista impetuoso, sindacalista appassionato, fuggito dall’Italia, da Sulmona in Abruzzo, agli inizi del novecento, perseguitato per i suoi articoli di denuncia e le sue idee rivoluzionarie. Socialista prima, anarchico poi, infine indomito avversario del regime fascista che ha combattuto fin dalla sua nascita. Una vita dalle tante pagine, la sua formazione politica tra i ferrovieri e i contadini in Abruzzo; la sua incredibile capacità, per un italiano appena sbarcato negli Stati Uniti di animare scioperi con comizi infuocati, di trascinare folle, lui che sapeva poche parole di inglese, ha del leggendario.
Eppure la sua storia per tanti anni è stata rimossa, dimenticata, soprattutto in Italia. E un motivo c’è. Carlo Tresca era scomodo per tutti.
Per i fascisti innanzitutto perché li combatteva ferocemente, denunciandone soprusi e corruzione tra gli italiani in America, per i futuri democristiani, perché era un intransigente anticlericale, per i comunisti infine perché era un antistalinista. Per questo probabilmente un suo ritorno in Italia, nei giorni cruciali della fine del fascismo, era considerato da molti un pericolo.
L’11 gennaio del 1943 fu assassinato a New York da un sicario mafioso, forse su indicazione dello stesso Mussolini. Ci fu un funerale gigantesco, migliaia di persone, non solo operai italiani, ma anche intellettuali, artisti, la stessa polizia della città fece ala al corteo funebre, ottanta automobili cariche di fiori a scortarlo. Il saluto di New York fu commovente.
Poi su Carlo Tresca solo silenzio.
Però come in tutte le storie c’é sempre un filo, magari trovato per caso, che se lo tiri ti porta dentro la vita di un uomo che non immaginavi potesse darti tante ragioni per essere raccontata. Il filo é stato quello che lega da anni chi, nella città natale di Tresca Sulmona, ha sempre testardamente cercato di ricordare la sua figura, contro tutto e contro tutti, soprattutto contro l’indifferenza di chi aveva archiviato la sua vita e la sua morte come quella di un italiano finito male. La loro passione é sembrata a me e a Francesco Paolucci un filo prezioso. Così è nata l’idea del nostro documentario, “L’uomo più buono del mondo la leggenda di Carlo Tresca”, mettere insieme i ricordi e i ragionamenti su questo Don Chisciotte del novecento. All’inizio temevamo fosse una bella storia ma solo di un eroe locale poi abbiamo incrociato Maurizio Maggiani, che nel suo ultimo libro “L’eterna gioventù” aveva scritto pagine straordinarie su Tresca e tutto è diventato illuminato. La loro conversazione a distanza ha fatto il resto, ha costruito un ritratto sentimentale di un uomo che vorremmo far conoscere a chi ha voglia di farlo. Così abbiamo cominciato con una anteprima a Sulmona, la città che doveva riconciliarsi con la memoria dimenticata di un suo figlio ribelle, poi siamo andati a New York, davanti a un pubblico appassionato nella Casa Italiana Zerilli Marimo’ nella Ny University che ha discusso con Alexander Stille, Dorothy Gallagher (la prima biografa di Tresca) Claudio Gatti, Steve Cerulli le ragioni della sua vita e della sua tragica fine. Da allora il documentario sta seguendo la sua strada. Va gratuitamente dove un pubblico abbia voglia di vedere e discutere la sua storia. Siamo stati in piccoli teatri e cinema, a Roma ci ha accolti per prima l’Associazione della Stampa Romana, a discutere di un giornalista e un sindacalista dell’altro secolo che può ancora insegnarci qualcosa di entrambi i mestieri, ci hanno ospitato due festival, a Matera e a Pescara. Siamo particolarmente onorati che uno dei prossimi appuntamenti (il 22 maggio) sarà di nuovo a Roma, alla Fondazione Giacomo Matteotti in occasione di un convegno sui cento anni dalla sua morte. É come se un cerchio si chiudesse, due uomini che Mussolini considerava nemici pericolosi, assassinati dal fascismo uno all’inizio e l’altro alla fine del suo tragico percorso di dittatura. Due antifascisti che per paradosso hanno subito per tanti anni il peso di un cattivo silenzio nell’Italia repubblicana che ora finalmente si rompe.