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Media: la radio resiste

La radio non conosce inverno e dimostra di saper reggere alla crisi dell’editoria. In generale il mezzo è sempre più gradito dagli italiani passando dai 33.809.000 italiani in ascolto nel Giorno Medio e 43.303.000 nei 7 Giorni del 2022, ai 36.343.000 e 44.667.000 dell’anno 2023. Dunque un mezzo che rende anche perché gli investimenti pubblicitari rendono, e la radio in Italia si conferma l’unico mezzo tra Tv e Stampa che mostra maggiore dinamicità in quasi tutti i mesi dell’anno. Eppure anche in questo settore l’occupazione non decolla, gli stipendi nelle private spesso sono modesti. 

Se escludiamo la Rai, dove nella radio lavorano centinaia di giornalisti, il resto del settore non brilla. Le redazioni sono ridotte all’osso e le sinergie tra gruppi editoriali alla fine rischiano di creare un’informazione troppo omologata. Eppure, per i suoi bassi costi, per la facilità di realizzare un palinsesto, la radio potrebbe essere il principale mezzo di informazione degli italiani, dopo la tv. 

La vitalità del mezzo è sancita anche dal Censis, che sottolinea come la radio continui a rivelarsi all’avanguardia all’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media.

Complessivamente, i radioascoltatori sono il 78,9% degli italiani, con una lieve flessione da un anno all’altro (-1,1%). Cala l’ascolto in casa, ma l’autoradio si attesta al 69,1%, confermandosi su livelli prepandemici. Per quanto riguarda l’ascolto della radio via internet con il pc (18,2% degli utenti) e con lo smartphone (24,1%), si registra una crescita importante nel lungo periodo (rispettivamente +10,6% e + 20,5% dal 2007 ad oggi), ma un calo nel breve (rispettivamente -2,2% e -5,0% tra il 2022 e il 2023).

Se ai colleghi giornalisti dei network viene applicato il contratto FIEG/FNSI, seppur non di rado senza contratti integrativi aziendali, rimangono sacche di applicazione del contratto FRT/FNSI, siglato da Confindustria radio tv. Ma questo contratto negli anni scorsi ha perso non poco appeal, sostituito da quello sottoscritto dalla Fnsi con le associazioni AerAnti/Corallo, un contratto che ha dato ai colleghi Casagit, e Inpgi a suo tempo, ma soprattutto una serie di garanzie normative. 

Il vero problema è che questo contratto è stato applicato in modo improprio, a volte. Per differenziare la grande dalla piccola emittenza (quest’ultima non può sempre sostenere elevati costi del personale) alla fine si sono omologate realtà diverse. Le emittenti regionali o pluriregionali hanno applicato gli stessi minimi tabellari delle realtà che trasmettono magari in un’unica provincia, e per di più con parametri inferiori a quelle delle tv locali. Insomma, bisognava ancorare quei minimi salariali a parametri oggettivi, come il giro d’affari o il numero dei dipendenti. Questa è una battaglia che come sindacato dovevamo portare avanti più convintamente in questi anni. E’ una battaglia che dobbiamo continuare a combattere.

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