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Giornalisti e Liberazione, ricordo dei quattro patrioti uccisi a Roma

“Quel due febbraio faceva freddo. Sui viali della periferia tirava un vento diaccio che pigliava allo stomaco”. Così scriveva Vasco Pratolini sul “Mercurio” per ricordare la tragica mattina dell’esecuzione degli undici partigiani di Bandiera rossa, davanti al terrapieno della morte di Forte Bravetta. Tra loro, Enzio Malatesta e Carlo Merli che, con Eugenio Colorni e Riziero Fantini, sono i quattro giornalisti uccisi a Roma per liberarci dal nazifascismo. In loro ricordo, l’Ordine del Lazio, su indicazione e proposta formale del consigliere Carlo Picozza il 25 Aprile dello scorso anno ha apposto una targa nell’androne della sede di piazza della Torretta.  Ancor prima, già nel 2019, lo stesso Picozza fece annoverare ai tre giornalisti-partigiani fino allora conosciuti (Colorni, Malatesta e Merli) il nome di Riziero Fantini, anarchico sentimentale, amico di Sacco e Vanzetti, Errico Malatesta, Luigi Galleani, collaboratore di Umanità nova, Cronaca sovversiva, La Scintilla, direttore responsabile dell’Anarchico sentimentale.

Un solo tratto accomuna questi quattro patrioti, diversi per estrazione sociale, luogo di nascita e appartenenza politica, quello di aver sacrificato la loro stessa vita per la libertà del nostro Paese.

Enzio Malatesta è figlio di Alberto, un ex deputato socialista di Novara, apuano di nascita, milanese di adozione. Proprio a Milano, dopo la laurea, insegna nel prestigioso liceo Parini ed è direttore della rivista Cinema e Teatro. Si trasferisce a Roma nel 1940, per assumere l’incarico di caporedattore al Giornale d’Italia. La sua casa, in piazza Cairoli 2, nel rione Regola, è un punto di riferimento per molti antifascisti. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, con Carlo Merli, anche lui giornalista e milanese di nascita, e diversi ufficiali dell’esercito che intendono battersi contro i tedeschi, aderisce al Movimento comunista d’Italia – Bandiera rossa ed entra a far parte del comitato esecutivo. A lui spetta il collegamento con le bande esterne del Fronte militare clandestino di Resistenza operanti nel Lazio e nelle regioni vicine. Purtroppo, dopo la clamorosa azione del 6 dicembre nei cinema della Capitale, dove vengono diffusi sotto il naso dei tedeschi migliaia di volantini antifascisti, il gruppo infiltrato dai delatori Biagio Roddi e Ubaldo Cipolla, coordinati da Vincenzo Sofia Moretti, un finto avvocato dedito allo spionaggio internazionale, è decimato dagli arresti. Qualche giorno dopo – secondo la deposizione di Federico Scarpato, il famigerato Fritz – è proprio Cipolla che organizza un appuntamento a piazzale Flaminio, con il pretesto di organizzare la fuga. Con un gesto convenuto, il delatore indica ai tedeschi appostati nelle vicinanze le persone da fermare, così finiscono in carcere Enzio Malatesta, Carlo Merli e Gino Rossi detto Bixio, colonnello dell’esercito.

Il 28 gennaio sono condannati a morte dal Tribunale di guerra tedesco e vengono fucilati la mattina del 2 febbraio 1944 da un plotone della Pai, la polizia dell’Africa italiana. Sono appena scoccate le 11, Malatesta ha ventinove anni, Merli trenta.

Eugenio Colorni, è un milanese di famiglia ebraica. Con una laurea in Filosofia alle spalle, negli anni Trenta, entra in contatto con il gruppo direttivo di Giustizia e Libertà e, solo dopo l’arresto di Leone Ginzburg e Vittorio Foa a Torino, si avvicina, nel capoluogo lombardo, al Centro interno socialista guidato da Rodolfo Morandi e Lelio Basso. Per lui, come per centinaia di ebrei italiani, la sorte è segnata; dopo l’emanazione delle leggi razziali il cerchio si stringe. Viene arrestato a Trieste e spedito al confino nell’isola di Ventotene, dove, insieme a Ernesto Rossi, collabora con Altiero Spinelli alla stesura del Manifesto per un’Europa libera e unita. Quando, caduto il fascismo, dopo il 25 luglio 1943, tornerà a Roma dal confino, il suo posto è nelle fila del Partito socialista di Unità proletaria e Sandro Pertini lo vuole redattore capo dell’Avanti clandestino. Della testata socialista. Colorni sarebbe diventato il direttore dopo la Liberazione se, una settimana prima dell’arrivo degli Alleati a Roma, non fosse incappato, in via Livorno, in una squadra di fascisti della famigerata Banda Koch. Eugenio Colorni tenta di scappare, ma viene ferito e muore all’ospedale San Giovanni due giorni dopo. È il 30 maggio 1944 e lui ha solo 35 anni.

Riziero Fantini è abruzzese, nasce a Coppito una frazione dell’Aquila in una famiglia povera. All’età di diciotto anni è costretto a emigrare negli Stati Uniti d’America per cercare fortuna; a Boston lavora come badilante e sterratore e frequenta con impegno e dedizione le scuole serali. Attraverso il lavoro e lo studio il giovane si inserisce negli ambienti anarchici e conosce, tra gli altri, Sacco e Vanzetti, legge con grande interesse le opere di Jack London e comincia a scrivere proprio con lo pseudonimo “Jack” su alcune riviste di opposizione come La Scintilla, il Settimanale ed altre diffuse tra gli emigrati italiani. Riziero è un anarchico sentimentale, insieme ad alcuni compagni, lascia gli Usa e a piedi percorre l’America centrale in lungo e in largo per “fare politica” e proseliti tra i “peones”. Negli anni Venti torna in patria, lancia e anima la campagna per la liberazione di Sacco e Vanzetti attraverso un tour per l’Italia, nelle Marche, in particolare, e collabora con diverse testate: Umanità Nova, La Frusta, Libero accordo e la Fede. Solo nel 1940 si stabilirà a Roma a Montesacro, dove si colloca tra le fila dei comunisti che, a differenza degli anarchici, vantano un’organizzazione cospirativa e lavora alla ricostituzione della rete clandestina nel quartiere, insieme con Vittorio Mallozzi, ex garibaldino in Spagna. Ma anche nella cellula del quartiere Città Giardino si infiltrano le spie. Sono Armando Testorio, Franco Sabelli e Aristide Balestra. Il bottino è succulento ed entra in campo in prima persona “Fritz”, Federico Scarpato, l’interprete di via Tasso al soldo diretto di Kappler. La sera del 20 dicembre, dopo aver arrestato Antonio Feurra e Raffaele Riva, mettono le mani su Riziero Fantini. Il suo destino è segnato. Prima lo portano a via Tasso e poi varca il portone di Regina Coeli, al terzo braccio. All’alba del 30 dicembre il lugubre carrozzone lo trasporta a Forte Bravetta. Non è il solo. Con lui muoiono Antonio Feurra e Italo Grimaldi, suoi compagni di impegno e battaglie contro i nazifascisti a Montesacro. Prima di essere fucilato, all’alba del 30 dicembre 1943, lascia al cappelano del carcere il suo orologio rotto per le percosse e le torture subite e un biglietto per sua moglie Marziana Taggi: “Muoio con il tuo nome tra le labbra”. 

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