“Non c’è budget” dicevano i personaggi grotteschi della campagna “Coglione No”, lanciata dieci anni fa da tre filmmaker del collettivo Zero Pirate in un estremo tentativo di difendere la dignità dei lavori creativi. Nei video di allora, protagonisti dall’inguaribile faccia tosta proponevano al giardiniere, all’idraulico e all’antennista di lavorare gratis, in cambio di una presunta preziosissima “visibilità”. Da allora, per i giovani giornalisti free lance, cioè – nella visione degli editori – i ricattabili senza contratto, è cambiato ben poco.
Qualche cronista anziano e smemorato si fa beccare a parlare con nostalgia di “gavetta”, senza accorgersi che lavorare gratis o quasi in cambio di visibilità può essere una scelta a vent’anni, ma è una condanna se è l’unica proposta vent’anni più tardi. Ma per i padroni di giornali e tv la fase di trasformazione dell’editoria, iniziata con l’arrivo dell’informazione sul web, è stata una scusa eccellente per tagliare le remunerazioni di chi aveva poco potere contrattuale.
La corsa al ribasso non sembra fermarsi, e la differenza fra grandi giornali, portali web ambiziosi e piccoli siti d’informazione è quasi insignificante, tanto più che nei fatti non esiste contrattazione. Anzi, spesso i giornali “solidi” decidono di tagliare unilateralmente il pagamento delle collaborazioni, con riduzioni che a volte vengono imposte anche “ex post”, cioè su lavori già consegnati.
E se un quotidiano di rilevanza nazionale arriva a pagare otto euro lordi un pezzo, magari saldati dopo qualche mese come se si trattasse della fornitura di merci, vuol dire che qualcosa non va. E’ quasi inutile sottolineare che cifre del genere non solo non garantiscono la sopravvivenza, ma nemmeno permettono di pagare gli strumenti di lavoro, la spesa del telefono, la benzina per spostarsi, se non a chi ha già le spalle coperte. Non è ben chiaro nemmeno che cosa succeda in caso di querela: quando i livelli di retribuzione sono questi, è davvero difficile pretendere al giornalista tutto lo scrupolo – e ovviamente la perdita di tempo – necessari per fare verifiche approfondite.
Ma la crisi dell’editoria e il passaggio al web sono davvero motivazioni adeguate per strangolare i più deboli? Possibile che anche progetti editoriali annunciati in pompa magna abbiano costruito i piani industriali dando per scontata una conduzione di ricattabilità, cioè di semi-schiavitù, per chi lavora? Una verifica, e un conseguente giudizio severo sulle abitudini e attitudini degli editori italiani può venire attraverso un confronto con la situazione di paesi paragonabili al nostro: Francia, Regno Unito, Germania.
I dati disponibili sembrano suggerire che il momento è difficile ovunque, ma gli editori italiani sono sempre i più spregiudicati.
In Francia, per esempio, la situazione dei free lance appare difficile ma non disperata. Il sito specializzato payetapige.com riferisce di tariffe molto variabili, ma in genere dignitose, quanto meno se confrontate con l’Italia: il settimanale Nouvel Observateur arriva a pagare 624 euro per dodici cartelle (parliamo sempre di prezzi lordi), la tv Arte stanzia 1500 euro per 12 minuti di video (cioè sei giorni di lavoro a tempo pieno), quotidiani come Le Figaro sono disposti a pagare 80 euro a cartella, mentre pubblicazioni di dimensione più modesta come La République des Pyrénées stanziano 25 euro a cartella e 5 euro a foto per arrivare a 10 se l’immagine va in prima pagina. Il sito di inchieste Mediapart per sette cartelle arriva a 684 euro, mentre il settimanale Jeune Afrique stanzia 245 euro per sei cartelle, con pagamento a due mesi.
Le Canard Enchainé, giornale di inchieste e satira, segue una logica diversa: i free lance, spiega una collega interna alla redazione, prendono una cifra media di 168 euro. Ma ci sono eccezioni. “Una piccola informazione sulla nostra pagina 2, ma che può essere ripresa dai nostri colleghi perché è esclusiva e molto interessante, si può pagare anche 600-700 euro. Una buona inchiesta esclusiva può valere duemila euro”. Insomma, non siamo di fronte al paese dell’abbondanza, ma l’impressione è che gli editori francesi abbiano ancora la capacità di muoversi sul mercato senza strangolare i produttori di informazione.
In Germania le tariffe proposte dagli editori da tempo preoccupano le associazioni di categoria, prima fra tutte la Deutsche Journalisten Verband (la più grande, con circa 28 mila iscritti), che difende anche i diritti dei fotogiornalisti e ha da poco appoggiato l’agitazione dei fotografi dell’agenzia nazionale DPA. Le tariffe minime concordate dalla DJV con diverse case editrici in vigore da giugno 2023 prevedono un pagamento a riga (da 34 a 40 battute, cioè due terzi della riga tradizionalmente calcolata dai giornali italiani) misurato sulla diffusione dei giornali, con un minimo equivalente a venti righe. Per articoli semplici e notizie in breve si va da 65 centesimi a riga (giornali sotto le diecimila copie) fino a un euro e 19 (giornali oltre le centomila copie). Reportage, pezzi di giudiziaria e altri articoli più impegnativi devono essere pagati da 81 a 164 centesimi a riga. La tabella stabilisce che queste cifre si intendono per la prima pubblicazione, e arriva a precisare tariffe più ridotte se gli stessi articoli dovessero essere ripubblicati (c’è da chiedersi se qualche editore italiano abbia mai solo immaginato di dover pagare una seconda volta materiali già utilizzati…). In parole povere, un reportage di cento righe (equivalenti a circa settanta righe nelle misure italiane, cioè un pezzo di media estensione) venduto a un giornale nazionale deve essere pagato almeno 164 euro. Per commenti, rubriche, interviste, recensioni e altri contributi d’alto profilo è prevista una trattativa ad hoc.
La realtà della professione, però, vede anche nella Repubblica federale il rischio che le quotazioni concordate siano riconosciute solo da alcuni editori. Freischreiber, associazione di free lance, ha pubblicato nel 2020 un rapporto sui compensi abituali: secondo i suoi conti, sul mercato tedesco un free lance ottiene mediamente 22,73 euro lordi per ora di lavoro. Le differenze fra un medium e l’altro sono enormi: un articolo di 1000 battute può essere pagato tra otto e duecento euro. I giornalisti meno pagati, è quasi inutile dirlo, sono i fornitori di contenuti digitali e i collaboratori dei giornali locali. Nel complesso, il mercato tedesco appare senz’altro più florido di quello italiano, ma anche in Germania la vita da free lance non è facile.
Nemmeno nel Regno Unito chi lavora da indipendente può gioire: secondo un rapporto pubblicato a marzo 2024 dalla ALCS (una specie di SIAE britannica) in collaborazione con la National Union of Journalists (il sindacato di categoria) con un sondaggio proposto a diecimila free lance, il guadagno medio di un giornalista indipendente equivale a 17.500 sterline l’anno (poco più di ventimila euro). Se si considera una settimana lavorativa da 35 ore, la cifra raccolta è inferiore alla paga minima oraria: questo costringe la gran parte ad affiancare altri lavori, anche non giornalistici. Il contratto, poi, è un sogno anche per i sudditi di Sua Maestà: gli accordi sul lavoro vanno dalle email ai messaggi whatsapp, il 40 per cento degli intervistati ha lavorato senza nessun contratto e il 93 per cento non ha mai ricevuto un pagamento basato sugli accordi fra editori e piattaforme online. La “distrazione” dei committenti diventa però attenzione elevata quando si parla di cessione totale dei diritti e di clausola di esclusiva, che gli editori hanno imposto al 47 per cento dei collaboratori.
La NUJ pubblica anche una tabella molto articolata dei compensi minimi per i contributi scritti, che arriva fino alla cifra di 1250 sterline per una storia d’apertura pubblicata su un tabloid. Sono quasi 1500 euro: sembra un livello stellare per chi guarda dall’Italia. Ma in realtà è persino modesto se si considera bene. Storie di rilievo per un tabloid che stampa oltre due milioni di copie (e ne vende settecentomila) come il Daily Mail o il Sun difficilmente potranno essere produzione abituale. Non parliamo degli scoop da prima pagina, dove la regola è sempre la stessa: dipende dal valore della notizia. Al di là delle esclusive, le tariffe indicate vanno dalle 50 sterline per la breve alle 110 per un blog commissionato, per salire fino a 800 e mille sterline per storie importanti dedicate ai quotidiani. Per i supplementi, un articolo definito “generico” dovrebbe essere pagato 600 sterline, che arrivano a mille per storie definite “splashy”, cioè sensazionali.
Una possibile conclusione l’hanno cercata i giovani cronisti del Reuters Institute for the Study of Journalism. Sul sito dell’istituto gli studenti hanno chiesto a 25 professionisti di 20 Paesi diversi se il giornalismo free lance sia ancora praticabile. Fra media che chiudono, startup che non partono, ricavi che diminuiscono, giornalisti che perdono il lavoro e l’intelligenza artificiale che minaccia di sostituirli, la risposta poteva essere una sola.