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Cinema, “Lala”: una, tante, troppe ragazze insieme

Lala ha diciassette anni e ha già un figlio, Toto. Lala è una giovane rom, occupa un appartamento nel quartiere di Tor Bella Monaca a Roma, non ha il permesso di soggiorno né i documenti in regola. Inevitabilmente non riesce a trovare un lavoro. Un giorno i servizi sociali entrano nel suo appartamento con la forza e prendono in carico il piccolo Toto per darlo in affidamento e offrirgli una prospettiva di vita. Ma Lala non si arrende e cerca in tutti i modi di trovare una soluzione che la riporti a tenere tra le braccia Toto.

Il film “Lala” di Ludovica Fales dopo un inizio solo all’apparenza stentato in cui la credibilità degli interpreti non coinvolge né convince fa un drastico, definitivo ma fondamentale cambio di registro. Da quel momento (quello che sembrava uno stentato stile recitativo era una prova per la messa in scena/prove tra attori non professionisti) tutto acquista senso e credibilità, trasportando lo spettatore in un mondo vero, reale e drammaticamente attuale.

Fales ha prima realizzato un documentario sul tentativo di Zaga (è lei la vera protagonista della storia nella vita reale) di ottenere il permesso di soggiorno per lei e per il figlio; dopo più di un anno di tentativi, Zaga capisce di non avere diritto ai documenti e parte senza lasciare traccia di sé. In cerca di risposte, la regista scrive la sceneggiatura per un film di finzione chiedendo a Samanta, una giovane attrice rom non professionista, di interpretare il ruolo di LALA, alter ego di Zaga.

Con Samantha ci sono altri ragazzi, per lo più rom e sinti, che per due anni si trovano in un laboratorio di improvvisazione teatrale con cui destrutturano la sceneggiatura, plasmano le scene sulle loro esperienze e verità soggettive.

Attraverso questo meccanismo, la separazione tra attore e personaggio diventa progressivamente più sottile, fino a demolire la “quarta parete” e invitare lo spettatore a diventare parte attiva del processo riflessivo e creativo che si è delineato davanti agli occhi. «Questo spazio di sfida della norma – racconta nelle note di regia Fales –, attraverso la sfida del rapporto tra finzione e realtà, rappresenta anche per il pubblico uno spazio interlocutorio, uno spazio di riflessione attiva sul rapporto tra ciò che è evidente e ciò che è nascosto.

Ho iniziato a lavorare sulla storia con il gruppo di attori non professionisti, che hanno sfidato la sceneggiatura, l’hanno cambiata, aggiunto le loro storie e hanno co-creato con me lo spazio del film. Ognuna delle persone che hanno partecipato a questo processo è stato, quindi, un frammento necessario e insostituibile di un progetto i cui vari strati dovevano convivere insieme per mostrare come abbiamo trovato, riscoperto e riflettuto sul senso della storia, costantemente rispecchiandolo nella realtà e cercando più verità nella recitazione. La nostra è stata una ricerca della verità collettiva, la ricerca di una verità condivisa – e quindi pubblica – a volte intima, ma sempre volutamente collettiva».

Nel 2021 Zaga è ricomparsa, attraversando il mondo del film che, nel frattempo e a partire da lei, era nato.

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