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Elezioni: un voto sull’Europa

Tra il 6 e il 9 giugno prossimi, quasi 400 milioni di cittadini saranno chiamati a votare nei 27 Paesi dell’Unione europea per eleggere i 720 deputati del nuovo Parlamento di Strasburgo. Si va dai 96 rappresentanti della Germania ai 6 ciascuno di Lussemburgo, Malta e Cipro. La Francia ne eleggerà 81, l’Italia 76. È il più grande esercizio di democrazia sovranazionale del pianeta e il Parlamento europeo è l’unico organo dell’Ue ad essere scelto direttamente dal popolo. Succede ogni cinque anni dal 1979. Ma mai come questa volta la posta in gioco è sembrata così alta, mai come questa volta nelle urne europee si sono confrontate due visioni opposte dell’Europa e dei suoi destini futuri.

Quelli che abbiamo alle spalle sono stati anni vissuti pericolosamente dall’Unione europea, sottoposta allo choc sistemico della pandemia, che ha poi innescato la più devastante crisi economica della sua storia. Ma i Ventisette hanno saputo reagire uniti, prima costruendo una risposta comune all’emergenza sanitaria (con gli acquisti dei vaccini gestiti direttamente dalla Commissione europea) e poi varando il Next Generation Eu, il piano di aiuti da 850 miliardi di euro, primo strumento finanziato con debito comune, di cui l’Italia è stata la maggiore beneficiaria e che ha aiutato le economie europee a riprendersi.

Quando poi tutto sembrava rimettersi in moto, è venuta la guerra alle porte di casa o, meglio, in casa. L’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 ha scoperto tutta la fragilità delle nostre forniture energetiche e soprattutto ci ha messi di fronte alla realtà di una Russia espansionista e aggressiva, decisa a far saltare l’ordine europeo e a destabilizzare anche le nostre società. Anche qui l’Europa ha dimostrato di saper reagire con unità e fermezza a difesa del diritto internazionale, dell’indipendenza di una nazione sovrana, dei valori di accoglienza e libertà che sono parte del suo DNA. Abbiamo approvato tredici round di sanzioni contro Mosca, abbiamo aiutato Kiev militarmente ed economicamente e abbiamo avviato una diversificazione energetica che nei decenni a venire potrà solo farci del bene.

Eppure, invece di essere orgogliosi di un’Unione che, nonostante incertezze e disfunzioni che permangono, ha dimostrato di esserci nell’ora più buia, gli elettori europei appaiono stanchi, delusi, impauriti e ripiegati su sé stessi. La campagna elettorale per l’Europarlamento si svolge nella distrazione generale e in ogni Paese, in Italia in particolar modo, è di fatto ostaggio delle polemiche politiche interne.

In quasi tutta l’Ue crescono pezzi importanti dell’opinione pubblica che esprimono scetticismo, quando non rigetto del progetto comunitario.

Le elezioni di giugno potrebbero essere uno spartiacque. Da un lato infatti competono le forze politiche che negli ultimi decenni dentro il Parlamento europeo hanno sostenuto, sia pur con le dovute differenze, la linea di una sempre maggiore integrazione economica e politica, del rafforzamento della dimensione sovranazionale, delle risposte comuni alle grandi sfide della modernità, dal clima sulle crisi pandemiche: popolari, socialisti, liberali, verdi. Dall’altro c’è una congerie di forze politiche non sempre omogenee, in gran parte di destra ed estrema destra, che rifiutano nuove cessioni di sovranità, chiedono la rinazionalizzazione di molte politiche comuni, alimentano lo spauracchio dell’immigrazione vista soltanto come un problema di polizia e non come un fenomeno da gestire conciliando sicurezza, diritti umani e anche opportunità per le nostre società in decrescita demografica. Alcune di queste forze – il Fidesz ungherese, l’AfD in Germania, la FPÖ in Austria, Vox in Spagna o il PiS in Polonia, mettono addirittura in discussione lo Stato di diritto, teorizzano una “democrazia illiberale” o, com’è il caso dell’estrema destra tedesca, chiedono l’uscita della Germania dall’Ue. Non solo, a unire queste forze, con l’eccezione dei polacchi, è anche una posizione sostanzialmente filorussa, che le spinge a chiedere la sospensione degli aiuti a Kiev e una tregua che sancirebbe solo il sopruso di Putin.

La differenza con il passato è che, questa volta, la destra e l’estrema destra hanno buoni sondaggi e potrebbero addirittura cambiare gli equilibri europei, producendo una maggioranza diversa da quella europeista che, al netto delle differenze sui singoli dossier, ha fatto dell’Europarlamento il battistrada di una “ever closer Union”. Non è un esito scontato ma è una possibilità, che rischia di far fare un pericoloso salto all’indietro alla costruzione comune.

Al centro di queste dinamiche, c’è la figura di Ursula von der Leyen, che corre per la sua riconferma alla presidenza della Commissione, questa volta da Spitzenkandidat del Partito popolare europeo. L’ex ministra della Difesa tedesca può vantare un bilancio positivo, ma il suo cammino è denso di ostacoli. Deve infatti prima ottenere la nomina del Consiglio europeo, assicurandosi l’appoggio del francese Macron e del tedesco Scholz, ma anche di Giorgia Meloni, che ha fortemente corteggiato nei mesi scorsi, cioè dei leader dei maggiori Paesi. E poi deve avere la fiducia della maggioranza del Parlamento, in un voto che si annuncia complicato. Sia perché la coalizione che la sostenne nel 2019 (popolari, socialisti e liberali) da sola probabilmente non basterà più. Sia perché non sarà facile allargarla contemporaneamente ai Verdi e ai Conservatori (o a una parte di loro) guidati da Meloni, per voti dei quali Von der Leyen dovrebbe rimangiarsi, in parte lo ha già fatto, buona parte delle cose che ha realizzato nella scorsa legislatura, soprattutto sul Green Deal.

Non solo, ma da mesi è chiaro che Macron al posto di Von der Leyen preferirebbe un altro nome, probabilmente Mario Draghi anche se al momento lo tiene in pectore, perché pensa che solo una personalità di prestigio e forte spessore politico possa guidare l’Ue nei prossimi anni. Il presidente francese, ancorché politicamene indebolito, non rinuncia infatti a pensare in grande, come dimostrano i suoi più recenti interventi, nei quali ha messo in guardia dal rischio che l’Europa “possa morire”, se non si darà gli strumenti per svolgere un ruolo di primo piano nella partita geopolitica dei prossimi decenni: difesa europea, unione fiscale, debito comune per finanziare la creazione di campioni europei nei settori d’avanguardia come spazio, intelligenza artificiale, digitalizzazione.

Ecco perché, a dispetto delle apparenze e della disattenzione delle classi politiche, il voto per il Parlamento europeo è importante. E sarebbe un disastro se i cittadini dell’Unione, invece di votare in nome delle speranze per il futuro e di un’Europa che non sia marginalizzata sulla scena globale, cedessero agli argomenti dell’estrema destra e votassero soltanto in base alle loro paure.

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